storiefarirollon

















fotorollon



 

STORIE DI FARI
                              


UN UOMO E LA SUA LANTERNA

Tratto dal volume

"RACCONTI DI FARI E ALTRE STORIE DI MARE"
 ed. F.lli Frilli 2006-2008
 
Testo e foto di Annamaria "Lilla" Mariotti 

    
Quando ho incontrato Bruno Colaci, il guardiano di Capo Sandalo, per la prima volta alcuni anni fa, mi trovavo a Carloforte, sull’isola di San Pietro, in Sardegna, in vacanza, e mi stavo recando a piedi verso il faro.

Avevo visto il cartello “Zona Militare – Vietato l’accesso”, ma non c’era nessun cancello, il faro sembrava deserto, così decisi di violare la legge e di andare a vedere almeno da fuori quel faro così amato, che avevo già conosciuto anni prima.
 

All’improvviso una macchina, una  FIAT UNO, sbucò da dietro una roccia sul sentiero sterrato ed il signore al volante, gentile ma fermo, mi disse che non potevo stare lì.  Io balbettai qualche parola di scusa, quelle cose che uno cerca di inventarsi quando viene scoperto in flagrante e questo deve aver impietosito quel signore perché alla fine mi disse che avrei potuto raggiungere il faro e godereil bellissimo panorama dalla terrazza, poi se ne andò.  Io allora non sapevo chi fosse, anche se  immaginai che poteva trattarsi solo del farista, ma gli fui molto grata.  


Dopo quell’incontro passarono ancora due anni, nel corso dei quali continuai la mia ricerca sui fari ed a scrivere le loro storie, ma il faro di Capo Sandalo era nel mo cuore più di qualsiasi altro, così, non so come, riuscii a reperire il suo numero di telefono e comincia a tempestare il Sig. Colaci di telefonate, finché, nel corso di un’altra vacanza a Carloforte, accettò di incontrarci al faro.  La mia costanza aveva dato i suoi frutti.


L'Isola di San Pietro, per chi non lo sapesse, si trova vicino alla 02Grotte_mezzalunacosta Sud Occidentale della Sardegna ed è meglio conosciuta semplicemente come "Carloforte" dal nome della sua unica città. E' una piccola isola verde, un piccolo paradiso, regno incontrastato dei “Falchi della Regina” una specie di falco marino originario del Madagascar, ormai rarissimo e a rischio di estinzione che nidifica qui ogni anno, così nominati in onore della regina Eleonora di Arborea. La  strada principale che l'attraversa l’isola da Nord a Sud è lunga 12 Km., eppure è un piccolo mondo a sé :  i suoi abitanti parlano un arcaico dialetto genovese, chiamato “tabarchino” perché discendono da quei pescatori di corallo originari di Pegli a cui l'isola fu donata dal Re Carlo Emanuele III di Savoia nel 1738, dopo averli liberati dalla schiavitù sull’isola tunisina di Tabarka dove avevano vissuto per duecento anni in  condizioni terribili, preda delle scorrerie dei pirati e della miseria.  


La costa Est dell'isola è delimitata da bianche spiagge sabbiose, mentre la costa Ovest è un continuo susseguirsi di scogliere rocciose ed è su una di queste rocce dominanti il mare, una specie di piramide naturale,  che si trova il Faro di Capo Sandalo.


Bruno Colaci, il guardiano del faro, a quell’epoca non aveva ancora 60 anni, un uomo cordiale e austero nello stesso tempo, un moderno eremita, uno di quegli uomini che possono ancora condurre una vita silenziosa ed appartata in un'epoca in cui la fretta regna sovrana.   Il suo aspetto mi colpì, come non mi aveva colpito la prima volta.   Il suo viso non era affatto severo, era segnato dal tempo e dal sole, ma il suo sguardo era dolce e le sue maniere affabili, e nell’invitarci ad entrare si comportò quasi come se ci aprisse le porte  per entrare in una cattedrale.


Salendo i 124 scalini delle torre per arrivare alla lanterna, Bruno ci raccontò la storia della sua vita e le situazioni che lo avevano portato a diventare guardiano del faro. E' entrato per la prima volta in un faro all'età di quattro anni quando, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, suo padre, che era stato in marina, aveva ottenuto il suo primo incarico come guardiano di faro nel 1945 e da bambino Bruno aveva viaggiato lungo le coste italiane ed aveva vissuto nei diversi fari a cui suo padre veniva di volta in volta assegnato. Alcuni di questi fari si trovavano sulla terraferma mentre altri erano situati su piccole, lontane isole dove, egli ricorda, qualche volta, durante le tempeste, avevano dovuto aspettare anche 15 giorni prima di poter avere aiuto e cibo. Mentre viveva in alcuni fari sulla terraferma si era trovato a dover camminare anche cinque o sei chilometri per poter andare a scuola.


Quando per Bruno è arrivato il momento di entrare nel mondo del lavoro, egli pensò che sarebbe stato bello trovare qualcosa di diverso da quello che faceva suo padre, ma la vita nei fari ormai gli era entrata nel sangue e, apparentemente, era nel suo destino per cui, dopo un concorso, accettò un lavoro di "Farista", come vengono ora chiamati i guardiani, e, dopo essere stato in un certo numero di fari, nel 1972 è approdato al Faro di Capo Sandalo.

A Carloforte si è sposato e sono nati i suoi figli e per un certo periodo la famiglia ha vissuto con lui e gli altri faristi, all’interno del faro,  all’epoca erano quattro famiglie, ma con il tempo gli assistenti sono stati trasferiti e la sua famiglia di Bruno si è sistemata in paese, “u paize”.  Bruno ama profondamente la sua famiglia, ma il trasferimento a Carloforte  era diventata una necessità. I suoi figli dovevano andare a scuola e lui voleva che conducessero una vita più confortevole di quella che aveva lui condotto da bambino, così il guardiano è rimasto solo al faro, ma lui dice che non sente la solitudine. Va a trovare la sua famiglia ogni volta che può ed ogni estate la moglie ed i figli lasciano il paese per tornare in quella torre luminosa.   Colaci, comunque, è ancora lì, salvo una breve parentesi alla "Lanterna di Genova" nel 1979, che ha lasciato però dopo poco tempo perché tutti sentivano la nostalgia di Carloforte.
 

Bruno è particolarmente fiero della sua lanterna e mostra con orgoglio le lucidissime lenti di Fresnel, gli ottoni brillanti, il vecchio sistema a orologeria che faceva ruotare le lenti prima che l’elettricità raggiungesse il faro nel 1980,  che sembra ancora in uso, tanto è lindo.  Questo sistema doveva essere manovrato a mano, a turno, dagli uomini ogni quattro ore facendo risalire il peso che manovrava l’ingranaggio. Ora il faro è automatizzato e richiede molto meno lavoro di una volta, eppure Bruno sale la lunga scala ogni giorno e pulisce e lucida ogni cosa nella stanza della lanterna, da dove gode la bellissima vista del mare, delle rocce e della natura circostante.


La scala a chiocciola che conduce alla lanterna  ha i gradini consunti dall’uso, ma il cordone attaccato al muro, che serve per aiutarsi  nella salita, è nuovo di zecca.  Benché il faro sia stato costruito nel 1864 e mostri i segni del tempo si può facilmente vedere che lui ama il suo faro e tratta i suoi componenti quasi come se fosse uno dei suoi figli.    Purtroppo non si può dire lo stesso della costruzione, ma in questo Bruno non centra, il faro è enorme, all’interno si trovano quattro appartamenti per altrettante famiglie di guardiani e nel basamento c’è persino un grande forno a legna dove le donne cuocevano  il pane, ma il faro è disabitata da tanto tempo, una volta c’erano tanti uomini che si occupavano anche delle riparazioni alla struttura, ma benché sia stato fatto qualche intervento d’urgenza, il faro sta irrimediabilmente andando in rovina.   Io ho pensato che se non fosse per la gabbia di Faraday che lo circonda tutto intorno il faro potrebbe spaccarsi in due.  Prima di entrare, Colaci ci aveva mostrato i muretti che delimitavano gli orti che venivano coltivati una volta dai guardiani per ricavare verdure fresche per la tavola e che crescevano abbondanti in quella terra generosa, e che ora sono un ammasso di erbacce.   E’ doloroso vedere questo grattacielo del mare, questo signore della notte, il faro più occidentale d’Italia, l’ultimo che  le navi incontrano nella rotta da Sud verso Gibilterra ed il primo nella rotta contraria, un faro così strategicamente ben posizionato, lasciato nell’incuria più assoluta.


Questo faro è stato costruito a prezzo di grandi sacrifici, poco dopo l’annessione della Sardegna al Regno d’Italia, la pietre che sono servite per costruirlo venivano trasportate via mare dall’isola madre e sbarcate su un piccolo molo costruito appositamente alla base della roccia, un molo che non esiste più, ma dove si trova ancora una piccola costruzione, anch’essa decadente, dove gli uomini del faro una volta tenevano i loro attrezzi da pesca.  Le pietre venivano portate a spalla o a dorso di mulo fino in cima a quella roccia dove stava prendendo forma una dei più bei fari d’Italia, con la sua torre alta  30 metri,  che si erge a 138 metri sul livello del mare, con una lanterna che lancia la sua luce a 28 miglia nella notte.    Alla base del faro le rocce precipitano in mare in un orrido formato da lastroni che la natura ha accostato in un modo strano, tanto che i locali li chiamano “canne d’organo” e da lassù questo strapiombo da un senso di vertigine. 

Un’esperienza quasi mistica invece si ha uscendo sul terrazzino rotondo che si trova proprio sotto la lanterna, qui un solido muretto fa sentire al sicuro ed uno può guardarsi intorno a 360° gradi e sentirsi il padrone dell’universo, anche se solo per un breve momento.


Quando gli ho chiesto come è la vita in questo solitario angolo del mondo, su questa roccia ventosa e isolata, Bruno mi ha risposto che lui è felice qui, in questo piccolo paradiso. Il suo parlare è lento, cadenzato, poche parole, poi un lungo silenzio, parole intermittenti come la luce che scaturisce dalle lenti della torre.  Lui dice che si diventa così vivendo in un faro, non si conosce la fretta.  Improvvisamente si ferma e ci mostra un volo di falchi della regina, che nidificano nelle vicinanze del faro.  

Bruno dice che trovarsi nella stanza della lanterna è come passare ogni giorno in cima al mondo. Quando dice questo io posso capire come si sente, perché io mi sento come se avessi scalato non solo i 124 scalini della torre,  ma la montagna più alta del mondo.

Con il tempo io e Bruno siamo diventati buoni amici e non è mancata occasione per tornare a trovarlo e per poter ancora salutare l’altro mio amico, il faro. Mi trovavo in una posizione privilegiata, ora all’ingresso della stradina sterrata c’era un cancello, ma non per me.  

Una volta ho chiesto a Colaci se fosse a conoscenza di qualche leggenda legata al faro, storie di “presenze” strane, rumori, movimenti, ma lui mi ha risposto di no quasi con tenerezza e con un lieve sorriso.  Lui capiva la mia curiosità, sapeva che io mi interessavo anche a questo aspetto nelle storie dei fari, ma anch’io capii al volo il suo punto di vista.  Quel faro era custodito da un uomo concreto,  positivo, se mai avesse incontrato un fantasma in qualche stanza del faro lo avrebbe pregato molto gentilmente, ma anche molto fermamente, di andarsene.


Bruno ha lasciato Capo Sandalo, l’inevitabile pensione ha raggiunto anche lui, e l’ultima volta che ci siamo visti, la scorsa estate, ho avuto il piacere di intervistarlo per un’emittente locale e ancora non mi sono stancata di ascoltare la sua storia, così legata a quella costruzione.   C’era un po’ di rimpianto nella sua voce, ma con il suo fare pacato mi ha detto che così doveva essere e che così sarebbe stato.   Gli ho anche  voluto chiedere chi si sarebbe occupato del faro dopo di lui, mi ha risposto che se ne incaricherà un’altra persona, ma che non vivrà nel faro, dato che avrà la responsabilità di tutti i fari e segnalamenti della zona. 



E che fine avrebbe fatto il “suo” faro ?  Correvano voci che sarebbe stato venduto a dei privati che lo avrebbero trasformato in un albergo,  ma  Bruno smentisce, leggende metropolitane, niente di vero, il faro sarà restaurato,  è una necessità impellente, ma come e quando non si sa, in quanto alla destinazione, rimarrà sempre un faro, è troppo importante in quella zona di mare, ma solo la torre, la casa potrebbe forse essere dismessa dalla Marina, ma per farne cosa ?    Bruno Colaci, l’ultimo guardiano del faro di Capo Sandalo, mantiene i suoi segreti, torna nella sua casa di Carloforte, ma resterà per sempre fedele a quella che per più di trent’anni  è stata la sua casa, la sua vita,  il suo lavoro.


Il faro di Capo  Sandalo nel 2012 dopo il restauro
(Foto di Simone Repetto)


 


 
 
Contatori visite gratuiti
  Site Map